Corriere Buone Notizie
4 febbraio 2018

Insegnare musica,
imparare dalla musica

di Cesare Cremonini

Corriere Buone Notizie
4 febbraio 2017
di Cesare Cremonini
«La musica è morta», dicono in tanti. A volte però sono gli stessi che durante un concerto alzano il cellulare presi dall’irrefrenabile voglia di condividere un’esperienza, rischiando così di perderla. «La gente ormai non ascolta più», «la nostra società è allo sbando», dicono altri. Io non credo a nessuna di queste posizioni ma, connettendole tra loro come due o più voci in una stessa partitura musicale, può essere che chi sostiene queste tesi ci abbia suggerito alcune riflessioni importanti: che relazione esiste tra la nostra società e la musica? Quanto e cosa ancora può fare la musica per noi?
Viviamo in un periodo fortemente legato all’immagine, la musica oggi viene ascoltata in buona parte attraverso canali come YouTube o affini, che permettono di «guardarla» piuttosto che ascoltarla. Non ci sarebbe nulla di male, d’altronde fin dalla prima infanzia educhiamo istintivamente i nostri bambini ad affidarsi alla propria vista per sopravvivere e crescere: «Tenete bene gli occhi aperti, là fuori!». A me sembra che in questa frase si nasconda l’ingenua sopravvalutazione dell’importanza degli occhi rispetto alle nostre povere orecchie, che come sappiamo invece funzionano anche in assenza di luce, e sono generosamente aperte 24 ore su 24, domeniche comprese. Ma una società dell’immagine non è soltanto il sintomo di un’epoca caratterizzata da un velocissimo sviluppo tecnologico, il che è positivo. Allo stesso tempo agisce come un buco nero culturale capace di risucchiare dentro di sé ogni forma d’arte ed espressione artistica incasellandola sotto l’ambigua voce di «intrattenimento». «La musica aiuta a non pensare», sostengono alcuni. È vero anche questo?
Tutti sappiamo che la sua potenza ipnotica fornisce elementi grandiosi con cui alleviare la nostra esistenza dalla fatica del vivere, ma oltre a questo credo sia uno strumento molto prezioso grazie al quale possiamo imparare a conoscere e accettare qualcosa di noi stessi, degli altri, della società, in altre parole, dell’umanità. A volte è una questione di scelte individuali, ma non dobbiamo dimenticarci della responsabilità politica. Da tempo, come ci ricorda il grande pianista e compositore Daniel Baremboim nel suo libro «La musica sveglia il tempo», è in atto una disabitudine all’ascolto causata anche da un sistema di istruzione che ha separato la musica dalla formazione dell’individuo, dimenticando o facendo finta di dimenticare che l’educazione alla comprensione, (della musica come dell’altro), è fondamentale per la sopravvivenza di una società.
I greci lo avevano capito e consideravano la musica una parte fondamentale della saggezza necessaria persino alle cariche pubbliche. Aristotele avrebbe forse disdegnato la musica classica, discriminato quella elettronica o snobbato il rap? Non credo. Dobbiamo ricordarci che confinare gli artisti nel perimetro del passatempo vuole dire omologarli indebolendo la società. Cosi stiamo attraversando anni di musica «spalmabile», spesso destinata a fare da sfondo ai luoghi di passaggio senza disturbare, attraversando le nostre vite senza lasciare il segno. Aerei, treni, stazioni, filo diffusori, centri commerciali, computer, cd, telefonini, televisione; una serie infinita di «non luoghi» in cui la musica viene proposta senza alcuna pretesa di attenzione o comprensione. Ecco spiegato perché anche se oggi la musica è praticamente ovunque sembra così scollata dalla nostra società. La sua integrazione deve tornare a raccontarsi nei luoghi di formazione. Sviluppando il talento per la musica, esercitando l’abilità nell’ascolto e nell’interpretazione, si può apprendere una infinita quantità di informazioni utili per la vita. Leggere uno spartito impone una visione strategica e di insieme sul brano, il controllo della propria emotività, capacità di comprensione e relazione: quanto ci servirebbe questo nella complicata arte del vivere di tutti i giorni?
Ancora: in musica gioia e tristezza non lottano tra loro ma fanno parte di uno stesso processo emotivo in cui i sentimenti sono tutti importanti. Oggi invece si nota una fuga dal dolore che non lascia a nessuno il tempo di trasformare i traumi in esperienza e condivisione. Sappiamo peraltro che proprio la condivisione di una esecuzione musicale tra due bambini di culture o religioni o etnie diverse rappresenta una occasione unica di conoscenza e rispetto, un abbattimento di muri che nell’attimo in cui si suona insieme può avvenire magicamente, senza sforzi. Ma le interazioni tra musica e società non finiscono qui.
Anche i ragazzi che oggi rischiano di perdere il senso del dovere affogati dalla forza della passione possono essere aiutati a riscoprire la disciplina grazie all’interpretazione della musica, dove invece passione ed esercizio sono costretti a coesistere. Lo studio di uno strumento musicale in età molto giovanile permette di costruirsi una sensibilità più profonda, personale, legata alle migliaia di sfumature che l’animo umano può attraversare, e che solo la musica, il cui potere va ben oltre le parole e la realtà, può ancora rappresentare.
Parlo di potere non a caso, come non è un caso che le dittature abbiano sempre temuto la forza della musica cercando di controllarla o sfruttarla a proprio vantaggio. È quindi anche per difendere la nostra libertà di espressione che dobbiamo ricordarci che l’udito è il baricentro delle nostre idee. Non è un caso che l’evoluzione dell’uomo abbia posto il sistema uditivo vicino alle regioni del cervello che regolano il piacere e la sofferenza, le emozioni basilari del nostro vivere.
La nostra società e il modo in cui ascoltiamo musica sono in continua relazione e legate a un unico destino. La musica resta una costante di ogni epoca e no, non morirà mai, finché sapremo ancora ascoltarla. Scoprirla e non accettarla. Conoscerla e poi giudicarla. Capirla e quindi sceglierla per non subirla.
Lo stesso, credo, si potrà dire di noi e del nostro vivere insieme. Augurandoci che anche il contenuto di ogni composizione musicale, che sia di carattere colto o più leggero, possa tornare a raccontare chi siamo nel bene e nel male, con lo scopo di ispirare e invogliare le nuove generazioni all’ascolto e alla scoperta dell’infinita varietà dell’animo umano.